Procella
pro-cèl-la
Significato Tempesta, sconvolgimento
Etimologia voce dotta recuperata dal latino procella ‘tempesta’, derivato dal verbo cèllere, ‘colpire’, con prefisso pro-, ‘avanti’.
- «La nave non è mai giunta in porto; l'ha schiantata la procella.»
Parola pubblicata il 14 Dicembre 2025 • di Maria Costanza Boldrini
Nel 1904 Giovanni Pascoli pubblicava la raccolta di poesie Poemi conviviali. In una di queste, intitolata L’ultimo viaggio, suddivisa in diversi canti, si ripercorrono le vicende di Odisseo. Il canto XV si intitola La procella. Ecco un estratto:
La parola ‘procella’, protagonista, non potrebbe essere più smaccatamente poetica di così. Il suono reboante, pieno, costituito principalmente da consonanti liquide, come la r e la l, intervallate dal suono affricato della c le conferisce ampiezza e respiro, solennità di pronuncia. Insomma, questa parola nasce proprio con la corona d’alloro sul capo e ha un pedigree latino lampante anche senza bisogno di passaporto etimologico. È il frutto dell’unione del prefisso pro-, avanti, col verbo cèllere, ovvero ‘colpire, battere’. La procella è la tempesta, e le tempeste effettivamente si abbattono su di noi, imperversano sui nostri tetti, sulle nostre vele, sui nostri campi.
C’è però una cifra precisa, in questo fenomeno meteorologico descritto dalla parola procella, che deve essere puntualizzata. La solennità della sua forma, la palese e splendida poeticità del suo DNA non la rendono spendibile in qualsiasi discorso, o comunque si fa notare così tanto che ha la capacità di dare un certo tono a tutto ciò che la circonda.
Se ci presentiamo a scuola zuppi di pioggia avremo due opzioni: rivolgerci al professore con tono piatto, scusarci e dire di essere stati colti dalla tempesta senza l’ombrello a portata di mano, cosa che probabilmente lo spingerà a mandarci pietosamente nella guardiola del bidello per farci dare un asciugamano e rimetterci in condizioni decenti senza aggiungere nulla. Oppure potremmo annunciare che l’orrenda procella si è scatenata su di noi, inani esseri umani senza difesa, e solo per un soffio siamo riusciti a eludere l’atro avello che sarebbe stato per noi il ventre del leviatano e a trovare salvezza nella scuola. Se una frase del genere magari non ci guadagna un voto extra in italiano… Ecco, il registro ironico è uno splendido modo per spenderla. Ma non solo.
Quando il discorso necessita di serietà e di un linguaggio sorvegliato, quando si parla di una tempesta che non sia quella scatenata dal dio Giove dopo che ha litigato con Giunone, quando è la sventura ad abbattersi impietosa e terribile su una situazione già critica, ecco che la parola procella può venire a rendere il quadro più nitido, più compassato, più posato.
Possiamo dire che la procella della carestia si è abbattuta sulla popolazione già provata dalla guerra, che in quel periodo della mia vita, a causa di problemi economici stringenti, mi sono sentito in balia di una procella interminabile, che la procella di un litigio tra fratelli oscurò il Natale in famiglia, quell’anno. Certo, la burrasca provocata dalla fine del primo grande amore di rado potrà essere definita come una procella dai diretti interessati: quando mai il primo amore lascia così distaccati, così imperturbabili da poter usare la parola procella come se stessimo filosofeggiando amabilmente? Se così avviene, forse non era il primo vero grande amore.